Il giovanissimo e talentuosissimo Benjamin Voisin è il protagonista dell'ultima pellicola girata da Xavier Giannoli "Illusioni Perdute".
Nell'adattamento cinematografico dell'omonimo romanzo scritto da Balzac, la giovane promessa del cinema francese veste i panni di Lucien, giovane poeta di campagna che giunge nella capitale francese inseguendo le proprie illusioni d'amore e di successo.
Benjamin ci regala un'interpretazione estremante naturale, candida e onesta, ricca di sfumature, complessità e sentimenti stratificati.
Benjamin Voisin è il perfetto eroe "balzachiano" e abbiamo avuto modo di scambiarci quattro chiacchiere all'anteprima italiana di "Illusioni Perdute":
Benjamin che piacere fare due chiacchiere con te e davvero molti complimenti per il personaggio che ci hai regalato... un personaggio così ricco di sfumature e di complessità.
La mia prima domanda non vuole soffermarsi sui due temi nevralgici del film come quello del capitalismo e del giornalismo, ma vuole porre l'attenzione su quello che è rimandato dal titolo, ovvero le illusioni e le disillusioni. Il tema dell'illusione è a me molto caro e nel corso dei secoli ha affascinato molti intellettuali, stimolando diverse riflessioni.
Balzac, ad esempio, sembra declinare l'illusione, e la conseguente disillusione, come una strada inevitabile in un mondo cosi feroce e spietato nei confronti dell'uomo.
Un altro intellettuale Giacomo Leopardi, massimo rappresentante del "pessimismo cosmico", vedeva nell'illusione l'unica via di scampo per resistere all'angoscia dell'esistenza, anche se era solo un sollievo temporaneo.
Secondo te, come si può sopravvivere tra la durezza e la ferocia della realtà e la naturale predisposizione dell'uomo all'illusione?
Sono molto orgoglioso del lavoro fatto dal regista Xavier Giannini con Balzac.
Abbiamo rispettato lo scrittore. Credo l’illusione sia necessaria per capire meglio il mondo in cui viviamo. E dopo aver vissuto la delusione, arriva sempre il momento in cui si deve tentare di inaugurare nuove illusioni. come in ogni cosa, bisogna operare una rinascita. ognuno deve cercare di essere una fenice.
Amo molto il mio ruolo perché ho cercato di parlare con i giovani, di mostrare che il passaggio dall'infanzia all'età adulta, quel momento in cui ci si confronta con il mondo reale, è così folle!
Sono finiti i giorni in cui si giocava solo tra piccoli, credendo che tutto sarà blu o rosa.
In realtà, questo passaggio è molto violento.
O accettiamo la fine delle cose che è molto caotica, oppure tentiamo la via della comprensione cercando l’anima e l’essenza più poetica e artistica della realtà. Il film mostra questo, come uccidere il proprio bambino interiore, per cercare di far nascere l'adulto, ma un adulto poetico.
È una risposta dura, il fatto di dover uccidere il bambino, ma non del tutto, perché il bambino deve rimanere un po'... Il regista Xavier Giannoli definisce Honoré de Balzac come un umanista preoccupato quando scrisse questo libro.
Lo scrittore racconta la nascita della società del denaro, l'inizio del capitalismo nel XIX secolo. Questo film è a volte spaventoso nelle molte somiglianze che mostra con il nostro mondo attuale, come fossimo davanti a uno specchio...
Oggi non siamo più all'alba del capitalismo, ne siamo totalmente immersi in esso, il nostro spazio si è ristretto sempre di più, si perdono forse la bellezza, il valore delle cose e dell'arte. Allora, secondo te, se Balzac tornasse ora nella nostra società, cosa penserebbe? Come reagirebbe? Il suo sguardo sarebbe diverso?
Penso che Balzac direbbe: «Bisogna assolutamente leggere il mio libro, perché avevo ragione già duecento anni fa!»
Balzac è riuscito a capire che il capitalismo sarebbe cresciuto nella società, che il denaro, dopo la religione, avrebbe causato la nostra crisi.
Ma tutto questo è un ampio dibattito filosofico. Non appena l'industria è nata e il denaro è diventato il re, tutti sono diventati sottomessi. È un vero peccato. Avrei preferito un mondo più idilliaco, in cui ci saremmo scambiati sogni e desideri, piuttosto che soldi e favori. Balzac ha capito che il denaro ci avrebbe posseduti tutti quanti.
In Francia, una volta, un politico disse: «Non abbiamo bisogno di avere troppo o di più». In fondo, chiedere di meno, sarebbe solo una politica di decrescita.
Al ristorante, per esempio, nessuno dice di volere 13 caraffe d'acqua o 20 ceste di pane, solo perché sarebbe gratis! Prendiamo ciò di cui abbiamo bisogno. Immaginiamo ora una società in cui tutti prenderebbero né più né meno. Funzionerebbe e sono certo che ce la faremmo!
Per concludere una domanda sul tuo rapporto con il cinema: se dovessi descriverlo con una sola parola, con un solo pensiero, immagine, ricordo... quale sarebbe il fotogramma che lo rappresenterebbe al meglio?
Avevo quattro anni, quando mio padre mi portò dieci o quindici volte a un cinema con lo schermo sferico, per vedere il film «Il Popolo migratore».
Sullo schermo sferico che ci circondava, era un balletto di uccelli che volavano di paese in paese, secondo le stagioni.
Di conseguenza, le mie prime esperienze cinematografiche sono state quelle del documentario, soprattutto animale. È molto interessante perché lavoro a partire dagli animali.
Nei caratteri dei nostri personaggi, cerco delle singolarità animalesche. Per me attore, l'istinto animale è la cosa più bella, perché non c'è possibilità di ripetizione.
Quindi è lì che si vive realmente l'azione. Grazie mille e ancora complimenti
Intervista a cura di Giacomo Tinti - Fotogrammi - Milano 20/12/2021
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