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"PETITE MAMAN" (2021)


"Petite Maman" è un film unico nel suo genere, per poeticità, semplicità e delicatezza. Offre una seconda chance alla sua protagonista e allo spettatore, concedendo loro, grazie al potere del cinema e dell'immaginazione, il privilegio di guardare la realtà e la vita da un nuovo punto di vista.

Ed è così, che il racconto e l'esplorazione dell'infanzia diventano strumento conoscitivo dell'età adulta, per comprendere ciò che noi siamo e forse ciò che diventeremo.

Non ci resta che uscire di casa e riscoprire quei luoghi della nostra infanzia, per perderci in essi e perchè no, per poi forse ritrovare noi stessi.

Oppure recatevi semplicemente al cinema e fatevi guidare dalla maestria di Céline Sciamma, vivendo questa esperienza onirica ed esistenziale sul grande schermo.


Buona visione e viva il cinema!


P.S. A conclusione della video recensione potrete ascoltare l'audio intervista del nostro incontro con Céline Sciamma

Intanto davvero complimenti per questo tuo ultimo film. “Petite Maman” è una piccola perla, ricca di poesia e magia. All’apparenza sembra un film di facile lettura, invece ci sono molti livelli, uno più nascosto dell’altro. In molti hanno descritto “Petite Maman” come un film sul tema dell’infanzia, ma io credo che sia riduttivo: “Petite Maman” è qualcosa di molto più complesso, non è solo un film sull’infanzia. Sei d’accordo con la mia considerazione? E qual è il tuo rapporto personale con questo film? Penso che in qualche modo in questo racconto estremamente intimo ci sia parte del tuo vissuto.

Quando scelgo i bambini per fare un film, non è perché voglio parlare di un momento specifico della vita o di un particolare tema, come quello dell’infanzia. Scelgo i bambini perché sono la parte migliore del cinema che voglio fare. Loro sono dei grandi osservatori e si appassionano con cura al tuo lavoro. Non è solo una questione di altezza e profondità del loro sguardo. Per me i bambini sono i migliori protagonisti ma anche il miglior pubblico, perché il loro rapporto con l’immaginazione è ottimale per leggere una storia. Le loro menti sono più aperte e libere ad accogliere nuove idee e nuove forme di poesia.

Sì, il film non parla solo dell’infanzia, ma forse niente è più grande dell’infanzia. Per quanto riguarda il lato personale il film è pieno di dettagli della mia vita. Molti spazi in cui ho girato il film sono legati a me: abbiamo girato nella mia città, il bosco era quello in cui da piccola ho costruito la mia casa sull’albero. Gli interni delle case, che abbiamo ricostruito in studio, erano una fusione degli stili delle case delle mie due nonne. Anche il carattere della nonna è ispirato a quello della mia, e i vestiti sono addirittura quelli che lei indossava. 
 Tutto il film è contaminato dal mio vissuto, ma questo non è importante. Perché il film è molto minimalista nel dare tutte le informazioni. Sappiamo ben poco della famiglia, del suo background… non sappiamo neanche il nome del padre. Ma in questo modo ogni spettatore può connettersi e relazionarsi personalmente con i personaggi e con le loro storie. Attraverso il tuo vissuto, i tuoi genitori e la tua storia, puoi proiettarti nella vicenda raccontata nel film. E credo sia questa proprio questa la cosa più importante del film. Beh, devo dire che si rimane davvero affascinati dal racconto del tuo film. Ora vorrei chiederti proprio dei bambini, perché come tu stessa hai appena detto, loro sono i migliori personaggi per un film. Penso che tu sia stata anche un po’ fortunata a trovare queste due incredibili bambine. E vorrei anche chiederti come sei riuscita a ottenere un risultato così realistico: le tue due protagoniste non sembrano affatto due attrici… loro vivono nel film, crescono nel film! Solitamente è molto difficile lavorare con i bambini, si rischia di ottenere un risultato stereotipato e invece tu ci hai mostrato un racconto così realistico: come ce l’hai fatta? Penso che molto dipenda da come tu consideri i bambini. Prima di tutto ho cercato di rispettare loro come personaggi del film. Sai molte volte si tende a credere che ai bambini bisogna dare più libertà, concedendo spesso loro di improvvisare. Qui nel mio film invece una sola scena è stata improvvisata, quella in cui preparano i pancake e in questo caso c’era comunque una ricetta da seguire. 
Perché dobbiamo pensare che i bambini recitino solo seguendo il loro istinto? Loro sono in grado di seguire le indicazioni di regia, sanno essere affascinanti e sanno dare grande forza, grandi idee e realismo ai loro personaggi! Ed è così che ti regalano grandi performance! 
 Per me non è assolutamente difficile lavorare con i bambini. 
 C’è chi paragona la facilità a lavorare con bambini al lavorare con gli animali, e trovo ciò ingiusto. Bisogna sempre essere ben preparati e disponibili a imparare: io per esempio non so assolutamente lavorare con un cane e avrei assolutamente bisogno di un addestratore. Comunque penso che ci sia una grande rappresentazione dei bambini nel cinema perché dopotutto sono necessari agli adulti. E la bellezza nel lavorare con i bambini è che loro non sono attori professionisti e imparano facendo il cinema. Tu puoi vedere come loro vivano liberamente le loro vite sul set, prendendo seriamente tutto quello che dici, essendo sempre collaborativi e artistici, e rispondendo sempre con grande entusiasmo e partecipazione alle idee che tu proponi. 
Ed è ovvio che alla fine tu ottieni delle grandi performance, perché lavori sempre allo stesso loro livello: non c’è niente che tu debba nascondere e non c’è nessuna idea che tu non debba proporre. Se poi qualcosa non piace, pazienza, si scarta e si va avanti. Si costruisce tutto quanto assieme, mantenendo sempre lo stesso livello di informazione e di coinvolgimento. 
 Le mie due attrici hanno imparato i fondamentali del cinema i primi due giorni: ad esempio come stare di fronte alla camera. Se ci pensi non è affatto semplice muoversi davanti alla cinepresa quando hai quindici persone che ti circondano e ti guardano. E loro hanno imparato immediatamente tutto quanto: da come si gira al protocollo di regia. E dopo pochi giorni abbiamo iniziato a costruire il linguaggio del film assieme: non era fondamentale imparare il linguaggio del cinema in generale, lo era invece costruire quello specifico per questo film. 
 E penso che per un regista sia magnifico poter lavorare in questo modo, con questo tipo di collaborazione, con il modo di interagire con loro e di scambiare le idee. Ma soprattutto ho sempre parlato con loro durante la realizzazione del film, non le ho mai lasciate sole, ho sempre cercato la loro interazione, il loro contributo per costruire la narrazione… e in tutte le riprese grezze puoi sentirmi parlare senza sosta con loro. 

 Beh il risultato è straordinario. Sono ancora incredulo perché ciò che ci hai regalato è qualcosa di davvero magico. Un altro punto su cui mi piaceva soffermarmi è che sia in questo film che nei tuoi precedenti c’è un’attenzione particolare allo sguardo dei personaggi. Penso che in “Petite Maman” lo sguardo giochi un ruolo fondamentale, è estremamente significativo, più di tutte le parole che vengono dette. Che significato ha per te lo sguardo in questo film e in più generale nel tuo cinema, per esempio in “Ritratto della Giovane in Fiamme” o “Tomboy”? Tutti i miei film sono focalizzati su un solo punto di vista personale. Non ho mai scritto un film che contenesse molteplici punti di vista… l’ho fatto per altri registi. Per me stessa utilizzo un solo punto di vista per osservare il mondo. Lo sguardo è una sorta di materializzazione del cinema, tutti i film possiamo considerarli come una celebrazione del modo in cui qualcuno guarda il mondo e di quali siano poi le conseguenze. 
 Si può giocare con il potere dinamico dello sguardo… il modo in cui guardo tutti i miei personaggi è la maniera attraverso cui celebro lo sguardo degli attori come atto di curiosità, o atto di cura, o atto d’amore… e questo è ancora una conferma di quanto per me i personaggi dei bambini siano perfetti per il cinema che voglio fare, perché questo è un cinema che li considera e loro ci tengono davvero molto a dare il meglio. Quando dei bambini ti fanno una domanda, tu hai molta più pressione di chiunque altro! Se fosse il Presidente a farti una domanda, ne avresti di meno! Infatti nel film ci sono alcuni momenti in cui vengono poste domande davvero difficili e non sappiamo se sia un bambino o un adulto a porle. Perché forse nessun adulto ne sarebbe in grado. Sì sì sono domande davvero scioccanti Una domanda sul tuo cinema più in generale. Ho adorato ogni tuo film, ma ognuno è diverso l’uno dall’altro. Lo stile cambia come la modalità di narrazione, ma i colori e la fotografia penso che siano abbastanza costanti. Ogni tuo film è unico nel suo genere, ogni volta siamo di fronte a qualcosa di nuovo, ma c’è sempre un filo conduttore che si può identificare nella tua costante ricerca nell’analizzare l’identità e le personalità dei tuoi personaggi. Tu sei davvero in grado di rinnovarti ogni volta, pur rimanendo sempre originale e coerente verso i temi che ti stanno più a cuore. Quindi qual è la tua relazione con il far cinema?

È difficile spiegare questo processo perché ogni volta sono molto vicina al mio film, ma allo stesso tempo cerco sempre di costruire un nuovo linguaggio, prendendo magari qualche distanza. Tutto inizia sempre nella mia testa: ho delle immagini con cui posso aprire o chiudere i miei film. Per esempio “Petite Maman” l’ho pensato quando stavo lavorando a “Ritratto di Giovane in Fiamme” e molto di quello che ho imparato l’ho messo a disposizione per questo mio ultimo film. Ed è forse la fiducia che il pubblico nutre nei miei confronti che mi dà il coraggio di cambiare ogni volta. Sono sempre più ossessionata dall’impatto emozionale che il mio film potrebbe avere sugli spettatori. Ogni volta è come se cercassi di costruire una nuova cattedrale o una casa sugli alberi (per rimanere in tema)! Sono sempre alla ricerca del giusto impatto, della giusta pace e della giusta atmosfera. Ogni volta è come se dovessi progettare un nuovo linguaggio però stando sempre nella stessa casa… ecco è un po’ difficile da spiegare. 




Per favore continua così perchè è davvero incredibile venire ogni volta sorpresi dalla visione di un tuo film perche non sappiamo mai davvero cosa aspettarci, la tua sensibilità, il tuo punto di vista… tutto è grandioso. Ogni volta che si fa cinema è sempre un modo per essere intrattenuti, da entrambe le parti, la vita scorre e si rimane sempre sorpresi e il cinema deve fare la stessa cosa… Infatti tu sei sempre riuscita in ogni tuo film a fare tutto ciò. Anche in “Petite Maman”, dal primo all’ultimo frame, c’è una tensione emotiva incredibile che alla fine ti fa dire solo “Woow… pura poesia, pura poesia”. 

 Grazie mille Un’ultima domanda che è davvero breve ma estremamente difficile, mi piace chiederlo sempre: cosa significa il cinema per te? Dimmi la prima cosa che ti viene in mente. Il cinema è tutta la mia vita!
 È il più forte e intenso desiderio che abbia mai avuto. Vivere la mia vita nel cinema è l’unica cosa che mi sono promessa: il cinema è tutto. Amo andarci ogni sera e ora vivo facendo film… il cinema è il cuore di tutto. Woow È una domanda davvero difficile (Celine ride) Non è facile è vero. Ma mi piace fare questa domanda perché la prima cosa che esce fuori è sempre molto interessante. Grazie di tutto Celine e buona fortuna!

Recensione e intervista a cura di Giacomo Tinti


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