L’alcool non ha mai goduto di buona fama sullo schermo cinematografico. Spesso si è presentato come vizio o come rimedio in cui affogare la propria disperazione. Ne “La parte degli angeli”(2012), invece, è tutta un’altra storia.
Robbie è un ragazzo allo sbando, già noto alla giustizia. Dopo l’ennesima brutale aggressione, il giudice, volendo concedergli un’ultima possibilità, dal momento che presto diventerà padre, lo condanna soltanto a 300 ore di lavori socialmente utili. Deciso, una volta per tutte, a cambiare vita, Robbie assieme ai suoi nuovi tre amici, conosciuti ai servizi sociali, e ad Harry, il responsabile degli stessi, troverà la strada per il riscatto in una maniera del tutto originale.
Più che una commedia “La parte degli angeli” si può dire essere una favola sottoproletaria. Presentata al Festival di Cannes 2012, la pellicola è stata ben accolta e si è aggiudicata meritatamente il Premio della Giuria.
Anche questa volta Ken Loach non tradisce i suoi ideali e non rinuncia al suo sogno sociale che da sempre lo ha contraddistinto nel suo lavoro: la rivincita dei più deboli contro un sistema avido di denaro che governa il mondo. Maestro della commedia umana e forte sostenitore di un socialismo umanitario, è convinto che un riscatto sociale sia dovuto a tutte le vittime di questa modernità capitalista e crudele. Ciò che difficilmente può realizzarsi nella vita reale, Loach lo rende possibile nel suo mondo, quello del cinema, mettendo in piedi una favola permeata di generosità e solidarietà.
Il regista britannico rappresenta sulla pellicola la cruda realtà odierna dei sobborghi poveri scozzesi, in particolare quella di Glasgow, abitata da gruppi di sbandati le cui vite sono immerse in un mondo di povertà, violenza e criminalità, e dove l’unica prospettiva per il futuro è il carcere. Dunque le tematiche di base sono totalmente estranee a quelle tipiche della commedia. E sta proprio in ciò la bravura di Loach: minimizzare e nascondere ogni impianto drammatico, riconducendolo esclusivamente alle vite dei protagonisti, per costruirci intorno una storia ottimista, assurda e allegra. Loach sembra proprio sbizzarrirsi. Il suo strenuo impegno sociale lo vediamo concretizzarsi nel tentativo di ribaltare l’ordine naturale delle cose: sovverte l’utilizzo del whiskey che, da personaggio sempre negativo che annebbia le menti e distrugge le vite, si eleva a oggetto di riscatto per un gruppo di sbandati dal cuore buono. Oppure, con la sua ironia quasi anarchica, il regista stravolge il sistema sociale in cui siamo abituati a vivere: i quattro protagonisti vengono trasformati in una sorta di Robin Hood improvvisati che si fanno beffa dei ricchi magnati.
Ancora una volta l’accoppiata Ken Loach e Paul Laverty (sceneggiatore) ha prodotto eccezionali risultati. “La parte degli angeli” è un film brillante che mescola abilmente allegria, dramma e ironia. Il ritmo è sempre vivace e non mancano momenti che strappano un sorriso e una riflessione, regalando emozioni ed ottimismo.
Ken Loach insegna ad ampliare lo sguardo e a concedere sempre una seconda chance a chi è meno fortunato.
Giacomo Tinti
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