Ieri è iniziata la sezione principale dedicata ai film da Africa, Asia e America Latina:
il Concorso Lungometraggi Finestre sul Mondo.
Anche quest'anno viene proposta un’accurata selezione di 10 film, scelti tra le ultime produzioni di fiction e documentari provenienti dai 3 continenti e tutte sono presentate in anteprima nazionale.
Il Concorso ha debuttato con Soula di Salaa Issaad, una storia vera, in cui Soula Bahri interpreta se stessa, una ragazza madre in Algeria che viene rifiutata dalla famiglia. Nel tentativo di trovare un rifugio e quindi la libertà per sé e la sua bimba neonata, viene trascinata in una notte di abusi, droga e umiliazioni.
Durante l'Ora del Tè al Wanted Clan, il consueto appuntamento del Festival in cui è possibile incontrare i protagonisti di questa edizione, è stato possibile dialogare in presenza con Mariam Al Ferjani (attrice del cortometraggio Cai-Ber) e Salaa Issaad (regista di Soula) e da remoto con Ahmed Abdelsalam (regista del cortometraggio Cai-Ber) e Ramata-Toulaye Sy (regista di Astel).
Oggi noi di Fotogrammi, grazie a Giacomo e Carlotta, vi consiglieremo altre due visioni della splendida sezione "Concorso Cortometraggi Africani" .
Concorso Cortometraggi Africani – "QU’IMPORTE SI LES BÊTES MEURENT"
Sulle alture dell'Atlante, il giovane pastore Abdellah (Fouad Oughao) e suo padre (Moha Oughao) sono circondati dalla neve. Le loro capre si stanno ammalando e Abdellah deve andare a cercare rifornimenti nel mercato più vicino che dista più di un giorno di cammino. Quando arriva con il suo mulo, trova il villaggio abbandonato a causa di uno strano evento che sta sconvolgendo la vita di tutta la popolazione.
Basta leggere la trama per essere immediatamente incuriositi dalla storia raccontata dalla regista franco-marocchina, Sofia Alaoui, nel suo cortometraggio “Qu’importe si les bêtes meurent”, piccolo capolavoro cinematografico che ha ottenuto il Premio della Giuria al Sundance Film Festival 2020 e il Premio César al miglior cortometraggio nel 2021.
Ci si aspetterebbe un thriller, un film esistenziale, un on the road oppure un film apocalittico… e invece siamo di fronte a un’invasione aliena, come non ce la siamo mai immaginata: nessun codice dallo spazio, nessuna invasione, morte o distruzione. Eppure le conseguenze sono imprevedibili: una forza esterna e sconosciuta innesca diverse reazioni in base alle credenze, ai desideri, alle preferenze di ciascun individuo.
In questo è racchiuso il grande lavoro di riflessione della regista franco-marocchina: con l’elemento fantascientifico e un’ambientazione arida e isolata, come quella di una comunità berbera, ogni personaggio accoglie a suo modo l’avvenimento soprannaturale. Al villaggio è rimasto solo un vecchio pazzo (Said Ouabi), i cui racconti non sono tanto affidabili, eppure il protagonista deve agire, prendere una decisione in base alle sue convinzioni religiose, alle tradizioni e alla sua lealtà. L’arrivo degli alieni viene accolto diversamente: stanno portando l'illuminazione, come afferma il pazzo? Porteranno la libertà alle donne come Itto (Oumaima Oughao)? Oppure l’invasione è opera del diavolo, come predica l'Imam in TV? Tutto ciò che non conosciamo o che è al di fuori della nostra cognizione, è un'opera del diavolo?
Domande esistenziali a cui la regista non offre alcuna risposta, in un film che è quasi muto, ma che parla continuamente allo spettatore. “Qu’importe si les bêtes meurent” non parla di alieni ma parla di vita, della nostra società e delle nostre convinzioni.
È quasi un’analisi antropologica sulle reazioni umane di fronte a qualcosa di inconcepibile e finora mai visto.
A rendere completa e perfetta l’opera intervengono una magnifica fotografia che restituisce maestosità ai paesaggi desolati e sconfinati dell’Alto Atlante; l’uso della camera a mano che segue e pedina il protagonista favorendo l’immedesimazione dello spettatore;
un montaggio ben ponderato, che lascia aria e spazio nei momenti giusti ma che poi diventa frenetico e ritmico nelle fasi più concitate; una colonna sonora magica, che dalle note dei tipici strumenti a corda berberi, muta a quelle del pianoforte, in un crescendo di tensione e incertezza.
“Qu’importe si les bêtes meurent” unisce e amalgama diversi generi cinematografici e realizza una piccola perla d’autore, da vedere assolutamente!
E noi di “Fotogrammi” siamo stati felicissimi di aver goduto della sua visione in Italia, per l’esattezza a Milano in occasione del 31^ Festival del Cinema Africano, Asia e America Latina.
di Giacomo Tinti
Concorso Cortometraggi Africani – "ASTEL"
Ramata-Toulaye Sy, sceneggiatrice (“Sibel”, “Notre – Dame du Nil”) fa il suo esordio alla regia con il cortometraggio “Astel”, che le è valso il premio Speciale della Giuria e il premio SACD per il Miglior Esordio, oggi presentato anche al 31° Festival del Cinema Africano, d'Asia e America Latina.
Nonostante le sue origini francesi, la neo regista decide di ambientare la storia di "Astel" in Senegal, il paese d’origine dei suoi genitori. La sua volontà è quella di affrontare dei temi poco trattati nel cinema africano, ma presenti nel quotidiano dello stesso popolo: storie d’amore, la ricerca dell’identità, l’accettazione di sé.
Uno degli argomenti più cari a Ramata-Toulaye Sy senza dubbio è il ruolo della donna nella società contemporanea, che è la prima fonte d’ispirazione di tutti i suoi lavori. In questo caso specifico, Sy ha voluto descrivere la complessa mentalità di questo popolo, utilizzando il punto di vista di una ragazza, puntando l’occhio sulla bellezza che lo circonda.
Astel è anche il nome della protagonista (Hawa Mamadou Dia) di questa storia.
Si tratta di una ragazzina di tredici anni che ogni giorno accompagna il padre a far pascolare le mucche. Grazie a questa routine, il rapporto tra padre e figlia germoglia giorno dopo giorno.
Ma quando Astel verrà raggiunta dall’adolescenza, sarà subito allontanata dal mondo degli uomini - e quindi dal padre - per unirsi a quello delle donne.
Quello che ci si trova davanti è un vero e proprio spaccato di vita quotidiana.
Ci si immerge subito nelle abitudini e nella routine di questo piccolo villaggio. Proprio durante una giornata di pascolo emerge tutto l’affetto e la complicità tra Astel e suo padre, che renderà ancora più difficile anche solo l’assistere al loro allontanamento. Importante è il ruolo della natura, in cui il villaggio si immerge. In alcune sequenze girate a camera fissa sono i paesaggi i veri protagonisti e la vita degli abitanti del villaggio si muove al suo interno. Per la maggior parte del cortometraggio non è nemmeno presente una colonna sonora, ma solo i suoni della fauna e della flora.
La storia inizia in un giorno come tanti, ma al suo termine Astel deve affrontare un importante cambiamento: il passaggio dall’età adulta, che comporta la distruzione di tutto quello che lei credeva di essere e del ruolo che credeva di avere.
Durante il processo di accettazione, persino la natura le sembrerà una traditrice.
E quando Astel si renderà conto di non avere scelta, ritornerà a immergersi nella natura, ma non sarà mai più la stessa.
di Carlotta Pinto
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