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31^ FESCAAAL - Day #03 - "CHITANA" e "ANGLE MORT"


Ieri è arrivato in sala, in anteprima a Milano, un film molto atteso: Revolution of Our Times di Kiwi Chow, un video-racconto inedito delle rivolte di Hong Kong del 2019-2020. Il film è stato presentato da Andrea Berrini, scrittore ed editore di Metropoli d'Asia, alla Cineteca Milano Arlecchino.


Ebbene sì, avete letto bene: ha riaperto lo storico Cinema Arlecchino che è diventato la nuova sede della Cineteca Milano e il FESCAAAL avrà l'onore di inaugurare questa nuova era di resistenza delle sale in centro!

Qui le proiezioni sono iniziate nel pomeriggio con un film veramente molto attuale dal Concorso Extr'A: La guerra che verrà di Marco Pasquini.


Sempre ieri sera è iniziata anche la programmazione al Wanted Clan, un delizioso cine-club in zona Porta Romana.

Per quanto riguarda i gli Eventi Speciali, all' Ex-Fornace Gola è stato proiettato il documentario Clessidre di Francesco Clerici, prodotto nell'ambito di un progetto dell'Associazione COE. Oggi a raccontarci alcune visioni di questo 31^ FESCAAAL abbiamo Teresa e Carlotta, che ci consigliano due cortometraggi in concorso:

Concorso Cortometraggi Africani – "CHITANA"

Amel Guellaty è una regista e fotografa tunisina. Nel 2017 ha scritto e diretto il suo primo cortometraggio, "Black Mamba", prodotto da Atlas Vision e in questi giorni è in concorso al 31° Festival del Cinema Africano, d'Asia e America Latina – FESCAAAL con il suo cortometraggio “Chitana”, e sta sviluppando il suo primo lungometraggio, “Tunis-Djerba”.


Chitana” vuole mostrare la difficoltà per la donna di essere libera. Eya e Sofia, due sorelle di 10 e 12 anni, vengono mandate dalla madre a prendere l’acqua alla fonte ma loro si lasciano tentare dal vicino bosco e decidono di disobbedire alla madre e andare a giocare in quel luogo proibito. Le due bambine faranno un incontro poco piacevole e, per timore delle conseguenze, sono costrette a scappare. Nella corsa Sofia perde sua sorella minore ed è costretta a tornare a casa da sola.

Chitana” significa "diavoletta" e si usa per descrivere una bambina tenera ma che combina molte marachelle. Infatti Sofia, la protagonista del cortometraggio, si ribella alle regole che le vengono imposte in quanto bambina, diverse da quelle che hanno i suoi coetanei maschi. E quando ne ha l'occasione cerca di evadere da quelle regole che scandiscono la sua quotidianità femminile, provando a comportarsi come un maschio.


La storia è molto breve e significativa.

I dialoghi e la colonna sonora sono secondari, rispetto alle immagini, su cui Amel Guellaty punta tutta l'attenzione, perché sono in grado di raccontare molto di più di quello che si potrebbe dire con le sole parole.

L'autrice è anche fotografa e questo si nota nel cortometraggio, per la sua abilità nel cogliere i particolari, con bellissimi dettagli in macro della natura.


di Teresa Vasciarelli



Concorso Cortometraggi Africani – "ANGLE MORT"


Lotfi Achour (“Father”, “La Laine sur le dos”, “Tomorrow from dawn”), autore, regista, produttore tunisino, presenta il cortometraggio animato “Blind Spot”, vincitore di diversi premi tra cui quello di miglior cortometraggio al Fipadoc.


Ambientato nella Tunisia del 1991, annebbiata dalla dittatura di Ben Ali, il cortometraggio racconta della morte di Kamel Matmati. L’uomo, come altri in questo periodo (i cosiddetti “desaparecido”), viene accusato di aver compiuto attività “anti – governative” e per questo viene torturato e ucciso. In seguito, viene dato per disperso.


Achour riporta in vita la storia reale di Kamel per parlare di un crimine che ha coinvolto numerose istituzioni, anche quella dei medici. Il regista si premura di raccontare i fatti, senza romanzare nulla, e lo fa attraverso l’utilizzo di un’animazione espressiva, a tratti disturbante. Achour e i suoi collaboratori utilizzano una tecnica definita “ibrida”, che va a mischiare diverse tecniche di animazione: le immagini reali vengono “fotocopiate” in bianco e nero, poi animate e in seguono vengono aggiunte scritte, grafiche e disegni.


Le vicende sono narrate in prima persona dal protagonista (Ghassen Rguigui, che interpreta Kamel), che con un tono freddo e crudo racconta la realtà: Kamel è stato torturato, Kamel è morto, il corpo di Kamel è stato volutamente rimosso dalla storia collettiva.


Il cortometraggio sviscera questa vicenda, entrando nella vita di coloro che hanno perso Kamel, rappresentate nella pellicola come delle ombre che si muovono sullo schermo e che seguono il loro tragico destino.


Lotfi Achour segue il temerario viaggio della madre di Kamel, che non si dà pace e per anni cerca il figlio in prigione, speranzosa che sia ancora vivo. Quando, ventisette anni dopo il figlio verrà dichiarato morto, la donna sarà tormentata da un’unica domanda, alla quale il cortometraggio risponde – o forse no – e che probabilmente avrà tormentato decine e decine di altre madri: “Dove avete abbandonato il corpo di mio figlio?”.


di Carlotta Pinto


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