Ieri sera sono stati annunciati i vincitori della 29^ edizione del Festival Africano, d’Asia e America Latina.
Il Premio Comune di Milano al Miglior Lungometraggio “Finestre sul Mondo”, è stato assegnato al film “Baby” di Liu Jie, dalla giuria composta da Bushra Abdalla Rozza, Jahmil X.T. Qubeka, Laura Luchetti, con la seguente motivazione:
“Con una regia sicura che ci rivela la grande abilità e padronanza di un artista nel pieno controllo del proprio mezzo, il regista ci racconta una storia di solitudine e speranza interpretata magistralmente dall’attrice protagonista e ci mostra l’orrore e la disperazione dei bambini abbandonati in Cina, esplorando con grande potenza la forza, la passione e il coraggio di una giovane donna che si batte contro il sistema”.
Una menzione speciale è stata assegnata al film “Los silencios” di Beatriz Seigner.
Vince il Concorso Cortometraggi Africani “Brotherhood” di Meryam Joobeur, “per l’abilità con cui affronta le contraddizioni del mondo islamico contemporaneo con un forte impatto emotivo e con uno sguardo artistico già maturo”.
Menzione speciale a “#Je_Suis_Kamikaze di Mohamed Touahria.
Il Concorso Extr’A ha visto vincere “La gita” di Salvatore Allocca, "per la capacità di far riflettere su grandi problemi attraverso una piccola storia ben calata nel presente, con un tocco delicato e un ottimo lavoro sui giovani interpreti”. Menzione speciale al film “My Home, in Lybia”, di Martina Melilli.
Il Premio del Pubblico va a “Los silencios” di Beatriz Seigner.
Nel pomeriggio è stato presentato in sala da Marco Müeller l’ultima fatica del regista cinese Feng Xiaogang: “Youth”, nell’ambito della sezione “Hidden Dragons”, nata dalla collaborazione con l’Istituto Confucio dell’Università degli Studi di Milano. Tratto dal romanzo autobiografico di Geling Yan, e sceneggiato da ella stessa, il film è un inno alla giovinezza, alla voglia di vivere, crescere e trovare il proprio posto nel mondo. È un viaggio in una Cina che non esiste più: trent’anni di storia, dalla Rivoluzione Culturale alla capitolazione della Banda dei Quattro, fino alla truculenta guerra “sino-vietnamita”.
“Youth” è un’opera immensa e ambiziosa. Dopo il successo ottenuto con la pellicola “I Am Not Madame Bovary” (2016), Feng Xiaogang si conferma regista camaleontico, ancora una volta in controtendenza alle numerose pellicole che lo hanno reso famoso e apprezzato in tutta la Cina.
“Youth” restituisce allo spettatore un affresco giovane e ambizioso di trent’anni di storia, focalizzandosi sulle vicissitudini di una Troupe Artistica dell’esercito cinese. Il tutto raccontato dalla voce fuori campo di Xiao Suizi, una delle componenti della compagnia diventata poi scrittrice. E due sono i personaggi principali all’intero di un racconto corale: He Xiaoping, povera e sola, viene accompagnata al corpo di ballo dell’esercito da Liu Feng, l’adorato e generoso ballerino della compagnia.
È impossibile ascrivere a un singolo genere questo film. Tanti sono i generi, altrettanti sono gli stili. Si possono individuare tre parti del film: nella prima si elogia la bellezza della giovinezza e della Cina degli anni settanta. I toni sono soprattutto nostalgici. C’è il ritratto dell’esercito cinese, che Feng non vuole né criticare né elogiare. Infatti se da un lato ne esalta la capacità di proteggere e sostenere la gioventù cinese nei duri anni Settanta, dall’altro attacca il fallimento delle politiche marxiste e maoiste, con la con mancanza di uguaglianza e meritocrazia, ma soprattutto con il bullismo che domina le dinamiche all’interno del corpo di ballo.
La seconda parte è inevitabilmente quella più violenta e truculenta, quella dell’orrore della guerra “sino-tibetana” del 1979. Qui la denuncia di Feng è chiara e forte: la giovinezza viene distrutta ed entra in crisi con le atrocità di un conflitto che oggi è sempre più dimenticato dai libri di storia. Lo stile inevitabilmente cambia, si va nelle terre di confine, il ritmo accelera, sale la tensione, il respiro si fa sempre più affannato e spettacolari sono le scene degli scontri armati.
Terza e ultima parte è l’epilogo della storia, dove lo stile tende al melò, più malinconico e rassegnato. I cartelloni con il volto di Mao vengono sostituiti dalle pubblicità della Coca Cola, i personaggi perdono la loro giovinezza e sono costretti ad uscire da quella realtà, da quella bolla che fino a quel momento li aveva protetti: la Troupe Artistica non esiste più ed ognuno deve trovarsi il proprio posto nel mondo.
“Youth” è un melodramma ambizioso e maestoso, che lascia a bocca aperta qualsiasi spettatore.
Magistrale la regia: ogni inquadratura è una composizione di bellezza assoluta, ogni movimento di camera è curato alla perfezione.
I colori vivaci trasmettono quel senso di felicità e spensieratezza che è propria della giovinezza. Ma è sempre presente il contrasto tra una realtà e l’altra.
“Youth” arriva dritto al cuore ed è adatto ad ogni tipo di pubblico.
È un’opera personale e provocatoria, che si insinua tra le ambiguità e le contraddizioni della storia cinese, ma che non fa altro che confermare l’estrema bravura di Feng Xiaogang.
di Giacomo Tinti
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