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29^ FESCAAAL - Day #4 - "FREEDOM FIELDS" e "BABY"

Aggiornamento: 1 apr 2019


Il 29^ FESCAAAL sta volgendo al termine, ma ancora tanti sono i film in programma.

Anche giovedì 28 marzo abbiamo seguito il Festival, ed ecco a voi le nostre impressioni:

Concorso Cortometraggi Africani – “LES COURSIERS DEL LA RÉPUBLIQUE”

Qualcuno di voi si è mai chiesto che storia c’è dietro il rider che vi ha appena portato il sushi?

Il cortometraggio documentario “Les Coursiers de la République” di Badredine Haouari ce lo racconta. Ci trasporta per poco tempo nel mondo del food deliverya Parigi.

Qualunque sia la condizione meteorologica, i riders lavorano indefessamente, neanche la neve riesce a fermarli. Mal pagati, si adattano come possono.

La fotografia racconta una Parigi diversa da quella a cui siamo abituati, una Parigi di biciclette malandate e lavoro a cottimo. Tematica quanto mai attuale, lo sfruttamento dei riderssi intreccia con il problema dell’immigrazione. Tema molto sentito anche qui in Italia; infatti, era stata promessa dal Movimento 5 Stelle una legge che regolasse i contratti di lavoro dei ridersentro marzo di quest’anno.


di Giovanni Maria Tosi


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Concorso Lungometraggi Finestre sul Mondo – “FREEDOM FIELDS”

“Freedom Fields” di Naziha Arebi racconta le vicende di una squadra di calcio al femminile in Libia.

A poca distanza dall’8 marzo, offre uno spunto valido di riflessione sulla condizione di vita delle donne nei paesi a cultura islamica.


Il senso di oppressione accompagna lo spettatore per tutta la durata del film.

Sullo sfondo della rivoluzione appena conclusa, con la morte di Gheddafi, alla squadra femminile viene tolto il supporto della Federazione per partecipare alle competizioni internazionali; a differenza della squadra maschile che ha il pieno supporto di tutta la popolazione.

Con le sole loro forze dovranno portare avanti il loro sogno, a costo anche di fare delle scelte esistenziali; metter su famiglia come vorrebbero i genitori o continuare a giocare?

Il film alterna riprese della città di notte a scene di vita religiosa e ai momenti di gioco calcistico.

La fotografia traballante da documentario aumenta il realismo e il coinvolgimento dello spettatore, che percepisce la tensione e la paura di una città che ha perso parte della libertà, ma che invece promette di offrirne con il nuovo Stato.


di Giovanni Maria Tosi




Concorso Lungometraggi Finestre sul Mondo – "BABY”

“Baby”, in prima visione sugli schermi italiani in occasione della 29^ edizione del FESCAAAL, è frutto di un’esperienza personale di Liu Jie, regista della pellicola, che figura anche come sceneggiatore del film; ciò è sentito soprattutto nella prima parte del lungometraggio, adoperata da Jie per introdurre, attraverso una fotografia estremamente cruda e realistica, la vita ordinaria di una persona disabile e abbandonata dai propri consanguinei nella Cina di oggi, attraverso la monotona esistenza della protagonista, Jiang Meng.


Meng è interpretata in modo magistrale dall’insolitamente famosa in patria Yang Mi, la cui prova passa dalla totale inespressività nelle porzioni abitudinarie della sceneggiatura ad una dimostrazione attoriale quasi stanislavskiana nelle sezioni emotivamente più coinvolgenti, calando perfettamente lo spettatore all’interno della storia.

Questa parvenza d’ordine in una vita vissuta duramente nelle stratificazioni più basse della società cinese, viene stravolta quando Meng, lavorando come inserviente in un ospedale, si imbatte in un bambino con la sua stessa malattia e che ha subito la decisione dei genitori di non essere operato, condannandolo quindi a morte.

Nelle vicende del neonato Meng rivede la negazione di se stessa, oppressa da un invadente sistema burocratico che non le permette di prendersi cura della donna che l’ha cresciuta quando la sua famiglia l’ha abbandonata e di una società che ha già deciso di giudicarla colpevole dalla nascita, colpevole di essere disabile; così come lei, il pargolo in cui si imbatte è vittima di una decisione fatta dall’alto, quella dei suoi genitori, di negargli l’esistenza stessa, sempre per colpa della sua malattia.

Diventa quindi per Meng di importanza vitale sottrarre il bimbo alla scelta di coloro che l’hanno messo al mondo, inscenando una rocambolesca ricerca che tiene incollati gli spettatori ai sedili della sala.

Nella scelta dell’argomento del film vi è decisamente la volontà da parte del regista di denunciare l’abbandono delle istituzioni cinesi verso i loro cittadini disabili; tuttavia ciò non è espresso con una morale spicciola ed istantanea, avendo più che altro l’obiettivo di fotografare una situazione sociale reale e tuttora vissuta da milioni di persone, cittadine di uno stato che sembra averli dimenticati, anche volontariamente. Jie fa un ottimo lavoro in questo senso.

È naturale, al termine della visione della pellicola, mettere in discussione anche il nostro rapporto con connazionali affetti da simili condizioni croniche. In ultima istanza, Baby è un’esperienza drammatica, emotivamente coinvolgente e talmente riflessiva che non posso fare a meno di consigliare.


di Mattia Lanzarone



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